Si può erroneamente pensare che chi si abbuffa non abbia sufficiente forza di volontà, in realtà esiste una correlazione che determina spesso l’abbuffata: la tendenza perfezionista. Andiamo a esplorare questa correlazione e gli effetti che può avere sulla relazione col cibo.
Il fine dell’articolo è quello di farti conoscere la realtà delle abbuffate in modo da poter essere d’aiuto a te o magari a una persona a te vicina. In questo articolo non si trova la spiegazione del mio metodo per uscire dalle abbuffate, questo non è il contesto adatto per spiegarla perché necessità un inquadramento più ampio.
Se quello è ciò che ti interessa, c’è il mio libro TANTO DOMANI NON MANGIO, lì trovi la metodologia che come coach uso per far sì che chi ne soffre possa uscire dal labirinto delle abbuffate. Se è di questo che senti la necessità, è lì che troverai la risposta. Anche in fondo all’articolo trovi il link per acquistarlo.
Sai che chi è all’interno del labirinto delle abbuffate molto spesso è una persona con una forte inclinazione al perfezionismo?
Prima di andare ad esplorare questo aspetto, ti chiedo di fermarti un attimo per dare attenzione al tuo mondo interno. Lo facciamo con una domanda piuttosto scomoda. Se non passassimo da questo aspetto, tutto il resto del lavoro potrebbe sembrarti eccessivamente tecnico o addirittura rischiare di essere vano.
La domanda che sto per farti ha bisogno di un certo grado di consapevolezza emotiva e della tua completa apertura rispetto a ciò che troverai e che potrà emergere.
In questo momento, ti chiedo di adottare un’attitudine simile ad una pratica che ogni tanto mi diverto a fare, girando per la mia città: guardarla come se la visitassi per la prima volta, come se non ci fossi mai stata in precedenza. È incredibile la quantità di dettagli che si riescono a notare. È un’esperienza che puoi fare non solo nelle città, ma anche in qualsiasi spazio a te famigliare, come la tua stanza, il tuo ufficio o la tua cucina. Potresti esperirla anche nello spazio in cui ti trovi adesso: guardati intorno, scruta quel luogo come se fossi lì per la prima volta, osserva quali dettagli raggiungono la tua vista, quali suoni giungono al tuo udito e dove si posa naturalmente la tua attenzione.
Ebbene, nel momento in cui ti porrò la domanda scomoda, ti chiedo di affacciarti al tuo mondo interno con la stessa attitudine, come se tu lo stessi osservando e conoscendo per la prima volta. Troppo spesso, infatti, diamo per scontato di conoscerci talmente bene da saper già tutto su di noi, sui nostri pensieri e sul nostro sentire.
La domanda che ti rivolgo deriva dalla mia esperienza professionale come coach. Ho accompagnato diverse persone (come genitori e fidanzati) in percorsi utili a creare una strategia di supporto per la persona amata. Quelle persone erano mosse da un potente e autentico sentimento: l’amore. Tuttavia, per far sì che quella strategia fosse funzionale, è stato importante occuparsi anche delle loro emozioni.
La domanda scomoda che ho sempre posto a loro e che questa volta rivolgo a te è:
cosa provi verso la persona che ami quando sai che si abbuffa?
A volte, la risposta profonda e autentica tarda ad arrivare. Per questa ragione, ti chiedo di osservare ciò che provi non sulla base di ciò che sai di te e su ciò che ritieni sia giusto o sbagliato, ma su ciò che davvero trovi, adesso.
Ricordo che un cliente scoprì solo in sessione, dopo due volte che ci incontravamo, che quello che provava dopo aver saputo che la sua compagna si abbuffava era frustrazione, che in alcuni casi sfociava in vera e propria rabbia.
La rabbia è un’emozione sgradevole, spesso considerata nemica dell’amore, come se avesse il potere di cancellare questo sentimento. Per questa ragione, alcune persone non si autorizzano a provarla nelle relazioni e la consapevolezza di avvertirla potrebbe generare in alcuni senso di colpa.
In realtà, la rabbia, una volta riconosciuta, può diventare un’emozione nobile, in grado, addirittura, di arricchire una relazione. La rabbia è un segnale neurofisiologico che viene rilasciato dal nostro sistema mente-corpo. Essa porta con sé un messaggio importante: alcuni dei tuoi bisogni non sono soddisfatti in questo momento.
Perché la rabbia può emergere quando vieni a conoscenza che la tua persona del cuore si è abbuffata? La motivazione potrebbe essere che in quel momento uno dei tuoi bisogni non è soddisfatto. Potrebbe non essere appagato il tuo bisogno di vederla star bene o ancora, non essere colmato il tuo bisogno di relazione e connessione, dato che, solitamente dopo un’abbuffata quella persona risulta inaccessibile.
La rabbia è un chiaro segnale dell’amore e dell’interesse che provi verso quella persona.
Se ne prendi coscienza e ti dai il permesso di provarla, potrai finalmente occuparti davvero di chi ami. Ma se continui a ignorarla, giudicarla o a reprimerla, non riuscirai a essere di supporto al meglio, perché le emozioni guidano i nostri comportamenti, anche quando non siamo disposti a riconoscerle.
Ogni volta che provi rabbia puoi, ad esempio:
- tornare a leggere gli articoli per te più significativi qui sul blog, in modo da non lanciarti in giudizi avventati;
- chiedere alla tua persona del cuore in che momento potrebbe sentirsi pronta ad includerti di nuovo nel suo mondo, perché per te è importante che ciò accada;
- puoi trovare la tua modalità più adeguata in base al tipo di relazione che hai con quella persona.
Dopo questa immersione nel tuo mondo interno, che potrai riprendere in un altro momento, in cui hai più opportunità per pensare e sentire, ti porto in esplorazione di un altro aspetto che caratterizza l’attitudine mentale di chi si abbuffa: il perfezionismo.
Con attitudine perfezionista si intende quell’atteggiamento mentale volto all’eliminazione completa di qualsiasi errore.
In questa condizione non ci sono sfumature: la presenza di un errore è catalogata come un completo fallimento. Come se una professoressa che corregge un tema, mettesse un voto pessimo all’intero compito appena trovato il primo errore, perché tanto se c’è anche solo una scorrettezza, non ha senso continuare a leggerlo.
Razionalmente sappiamo che tra un risultato perfetto e un completo fallimento ci sono tanti gradi intermedi (scarso, mediocre, sufficiente, buono, molto buono, egregio etc.). Possiamo immaginare un cursore che può spostarsi tra i due estremi e toccare anche i punti intermedi. Per chi adotta la mentalità perfezionista, invece, l’idea del cursore non è concepita, piuttosto il risultato appare come un interruttore dove ci sono solo due modalità:
on: risultato perfetto, off: risultato fallimentare.
Immagina una persona che applica questo modo di percepire la realtà all’alimentazione e che ha in mente un piano alimentare da seguire o delle regole da rispettare. Se quella persona commette qualcosa che percepisce come errore, l’interruttore si sposta automaticamente da on a off. Quell’errore, per quanto possa essere piccolo (può trattarsi anche solo di un cucchiaino di zucchero aggiunto al caffè) viene percepito come un completo fallimento alimentare.
È a quel punto che prende piede lo stimolo ad abbuffarsi: se non è perfetto è un totale fallimento irrecuperabile, quindi tanto vale rovinarlo completamente, poiché non ha più valore.
Stare nelle regole è davvero importante per il perfezionista, il quale non concepisce gli intermedi. Infatti, gran parte del mio lavoro come coach consiste nel guidare la persona a familiarizzare con il concetto di cursore, in modo che questo possa essere sostituito progressivamente all’idea radicata che ha di interruttore. Il mio ruolo professionale consiste anche nel far sì che la persona possa prendere dimestichezza con l’idea che ci si possa discostare dal modello ideale e che questo non significhi necessariamente completo fallimento.
Il perfezionismo è un concetto conosciuto a molti. Nel binge eating viene applicato in maniera rigida al comportamento alimentare. Non a caso, una buona percentuale di persone intrappolate nel labirinto delle abbuffate, ha spesso un passato di anoressia nervosa, come è accaduto nella mia esperienza personale. L’anoressia nervosa, infatti, è il disturbo alimentare più collegato alla rigidità cognitiva e comportamentale, quindi più correlato al concetto di interruttore on-off, piuttosto che all’idea di cursore.
Comprendere le cause profonde che hanno determinato lo sviluppo di tale rigidità mentale, non è un compito e una responsabilità di cui devi farti carico. Tale funzione spetta ad altre figure professionali (come lo psicoterapeuta) che possono aiutare la tua persona del cuore a trovare le radici di questo mindset, e soprattutto, secondo il mio approccio, a trovare le strategie comportamentali per uscire al meglio dal labirinto delle abbuffate. Questo è un lavoro molto complesso e faticoso, che non può essere risolto da un semplice:
“eddài, non essere così rigido/a!”
Ti consiglio di non pronunciare mai questa frase a chi fatica a gestire il proprio comportamento alimentare.
Qual è il tuo ruolo in questo caso?
È utile che tu percepisca il tuo ruolo come quello di un famigliare che accompagna un proprio caro durante una maratona, che lo sostiene durante un’impresa che ha deciso di sostenere. Cosa puoi fare per supportare la tua persona del cuore? Posizionarti nei punti cruciali per vederla passare; organizzarti per incitarla al meglio; preparare delle frasi da ricordarle nel momento in cui sta pensando di mollare; portarle dell’acqua; aspettarla al traguardo con il sorriso più grande che tu abbia a disposizione.
In questo contesto non ti verrebbe mai in mente di prendere quella persona in braccio e di portarla tu al traguardo, o di dirle che sta portando a termine un’impresa semplice, per cui non dovrebbe lamentarsi così tanto e neppure penseresti di correre al suo posto.
Rispetteresti la sua impresa.
Ecco cosa è importante che tu faccia: rispettare e supportare l’impresa della tua persona amata, la quale sta correndo una maratona, mentre tu stai assistendo.
Hai un ruolo fondamentale di supporto.
Chi ha corso una maratona sa quanto è importante il sostegno, addirittura anche di sconosciuti, che ti incitano o che pronunciano il tuo nome. Rivesti un ruolo fondamentale, che, però, può essere svolto solo nel momento in cui abbandoni la volontà di correre al posto suo. Non offrire scorciatoie, non sminuire l’impresa, rimani a supportare.
È dura assistere, vedere la tua persona del cuore soffrire, faticare e a volte, non riuscire.
Ne sono consapevole e ti ringrazio per continuare ad essere qui, perché non tutti hanno la fortuna di aver accanto una persona aperta a capire e ad impegnarsi per assistere al meglio nell’impresa.
Le informazioni riportate sono frutto della mia esperienza personale di cui parlo nel libro Tanto domani non mangio, disponibile su Amazon, in versione Kindle e cartacea.